Chi non si accontenta, scrive

 

La casa romana d’alta moda invia una lettera di diffida al Circolo Mario Mieli per aver utilizzato in maniera indebita l’immagine del Colosseo Quadrato nella locandina della campagna del pride romano con la richiesta di eliminare le immagini raffiguranti il palazzo dal sito romapride, dai social network ed il ritiro del materiale cartaceo pubblicitario dove compare l’immagine dell’edificio; immagine di cui Fendi detiene l’esclusività da oltre un anno. Dunque il web insorge e l’hashtag #Fendi finisce in TT in poche ore.

Schermata 2016-06-10 alle 01.36.04
Credits by romapride.it

In serata Fendi e il Mario Mieli chiariscono l’equivoco ed emettono un comunicato congiunto.

Potremmo sintetizzarla così la giornata del 9 giugno: un’incomprensione tra la casa romana d’alta moda e il Coordinamento Roma Pride risolta in meno di 12 ore.

E invece no. Perché le domande sollevate sono diverse.

Una delle prime questioni che ci si pone riguarda “l’esclusività dell’immagine”: si è permesso, in questo come in tanti altri casi, che un privato ottenesse il monopolio di un edificio pubblico per trarne poi un vantaggio privato di tipo economico. Ma non è sicuramente questa la sede più adeguata per approfondire il tema.

Un altro dubbio sollevato riguarda invece l’odore di omo/bi/trans-fobia che emana la diffida arrivata stamattina al circolo di via Efeso.

Fendi nel lamentare che l’immagine del Palazzo della Civiltà fosse stata utilizzata “indebitamente” nella campagna “Chi non si accontenta lotta” si è di fatto distaccata dalla connessione automatica tra il brand ed il Pride, dunque tra il brand e per estensione il mondo LGBT. Il dubbio, lecito, è che la casa romana d’alta moda abbia considerato che quella connessione “non autorizzata” potesse in qualche modo ledere l’immagine del brand. Come se, in qualche modo, avesse visto in quella locandina il rischio che il marchio si potesse schiacciare sul mondo LGBT, divenendo quest’ultimo unico interlocutore, il suo unico bacino d’utenza, e questo – per le leggi del mercato – non può funzionare.

Seguendo le leggi del mercato e il discorso del capitalismo ci risulta semplice porsi il dubbio che Fendi con quella diffida possa parlare la lesione dei diritti di proprietà. 

Con la testa al caso Barilla e D&G – solo per citare gli ultimi – una questione, paurosa da immaginare, rimane aperta. In tutti questi casi abbiamo assistito ad uno strappo iniziale, una rottura, una sovraesposizione (in negativo) di un marchio, conclusasi poi con comunicati pacifici. La questione che viene da sollevare è che vi siano delle condizioni affinché il mondo LGBT possa finalmente esser parte del sistema sociale cui apparteniamo.

Condizioni dettate non da meccanismi di progresso culturale o politiche sociali ma dal capitalismo: il dubbio che viene da porsi è che l’omo/bi/trans-sessualità possa essere accettata ed abitare la nostra società solo se (o quando?) sceglierà di integrarsi al sistema cui appartiene, accettando dunque implicitamente le dinamiche e i meccanismi dettati dalle leggi del capitalismo. Come ad esempio essere omosessuali, partecipare alla vita sociale, lavorativa, ma senza premere circa la sovversione di un ordine predeterminato. L’apparato sociale cui ognuno di noi appartiene è infatti strutturato sul confine rigido dell’eterosessualità che produce eterosessismo, ed è proprio questo il fattore che può portare alla costituzione di una percezione negativa di se stesso, all’omofobia interiorizzata; condizione che, nei casi più dolorosi può portare ad un disgusto verso se stessi tale da condurre al suicidio.

Tornando al caso Fendi un ultimo dubbio rimane aperto, cos’ha portato la casa d’alta moda a far emettere una diffida e pubblicare un comunicato congiunto col Circolo Mario Mieli in poco meno di 12 ore? Possiamo immaginare che la parola marketing abiti questo disguido? Che sia stata commessa una leggerezza dai social media manager di Fendi?

 

@ValeriaTucci

Lascia un commento